Il viaggio alla scoperta di Boba Fetta, personaggio dal successo inspiegabile e dalla “figaggine” immotivata, mi porta a conoscenza di un processo che delinea in modo curioso la transmedialità di cui vado parlando su più blog, questo mese: quando dico che ogni medium sfrutta a modo suo lo stesso universo narrativo, devo puntare l’accento su “a modo suo”. Perché questo vuol dire anche escludere personaggi che con quel medium hanno evidentemente meno successo.
Già avevo notato il fenomeno con gli Zombie di Star Trek: uno stesso universo narrativo che però a seconda del medium usa linguaggi diversi. I lettori di fantascienza sono molto più informati degli spettatori televisivi, quindi i romanzi di Star Trek sin dalle origini usano molto spesso il termine zombie del tutto ignoto alla serie TV. Incredibilmente, Boba Fett è vittima dello stesso fenomeno.
Nel maggio del 1996 la transmedialità presenta una storia… per due medium! Shadows of the Empire esce infatti nello stesso mese sia a forma di fumetto (per la Dark Horse Comics) che di romanzo (Bantam, nella stessa collana Spectra dei romanzi di Aliens): la storia che racconta gli eventi tra il secondo e il terzo film può essere gustata scegliendo il medium che più ci piace, quello testuale affidato al bravo Steve Perry o quello visivo scritto da John Wagner e disegnato da Kilian Plunkett.
In realtà ci sarebbe un terzo medium, perché nel dicembre successivo esce per Nintendo un videogioco con lo stesso titolo – a quanto pare di enorme successo, all’epoca – ma la trama è solo vagamente legata alla vicenda raccontata dagli altri due.
Il romanzo esce in Italia in una rara edizione Sperling & Kupfer del 1997 (con traduzione di Anna Feruglio Dal Dan) e nel gennaio dello stesso anno la MagicPress presenta il fumetto, L’ombra dell’Impero, con un terzetto di traduttori (Laperchia, Bompan e Brandi).
Cosa cambia fra i due medium? Che Boba Fett nel fumetto è co-protagonista della vicenda, mentre nel romanzo… è assente ingiustificato! Eppure l’illustratore Drew Struzan lo mette addirittura sul retro della copertina originale!
Non so spiegare questa scelta, ma evidentemente o l’autore o l’editore ha pensato che Boba Fett non funzionasse in romanzo, mentre nel fumetto fosse così efficace da dargli in pratica una vicenda molto lunga, tanto da essere co-protagonista dei sei numeri.
In fondo parliamo del cacciatore di taglie che i ribelli cercano per liberare Han Solo dalla carbonite (o come si chiama quella roba in cui è intrappolato) e che tutti gli altri cacciatori di taglie cercano per rubargli il bottino.
Fra inseguimenti e fan service – con Luke che fa le faccette da duro e mi fa sghignazzare pure in versione a fumetti – la storia di Wagner va giù liscia, con l’intera galassia ad inseguire la Slave I.
Proprio come nei fumetti dell’epoca, Boba se la comanda ed è protagonista di scene d’azione molto più affascinanti di quelle degli altri protagonisti, quasi come se lui e la combriccola di Luke appartenessero a generi narrativi diversi che si sono ritrovati nello stesso fumetto.
Dal papà del duro più duro di tutti, Judge Dredd, non mi aspettavo altro che un eroe d’azione prestato al fanta-mondo di Lucas.
Che sia questo il motivo della disparità di trattamento? In fondo Wagner ha in pratica tenuto a battesimo Boba Fett nel suo primo fumetto originale, quindi ci teneva di più di Steve Perry, che nel suo romanzo si limita a citare il fatto che si debba acciuffare Boba per farsi restituire Han Solo, senza mai avvicinarsi alla sua nave.
Avendo io scoperto di trovare straordinariamente noiose le avventure dei personaggi di Star Wars, anche perché i libri sono scritti per super-mega-fan esperti – in cui ogni paragrafo ha almeno tre nomi incomprensibili – non sono la persona migliore per giudicare questa storia, ma apprezzo fortemente la sua transmedialità, perché rendendola diversa a seconda del medium hanno permesso di sviluppare i vari punti di forza, invece di fare una poltiglia tutta uguale.
Viva Boba e viva la transmedialità!
L.
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Dopo anni passati a scrivere storie di un duro con il casco perennemente in testa come il giudice Dredd, è normale che Wagner sia quello che tiene di più a Boba. “L’ombra dell’Impero”, videogioco, romanzo con copertina del grande Drew Struzan e da oggi dopo il tuo post anche fumetto, penso sia l’opera transmediale più citata di sempre di Star Wars. Ricordo benissimo le copertine in giro, ma in ogni caso il migliore ad emergere dall’ombra dell’Impero è sempre Boba 😉 Cheers!
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Malgrado non sia fan di Star Wars, un po’ mi spiace di essermi perso all’epoca un esperimento del genere: chissà se oggi funzionerebbe…
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Riguardo al nostro cacciatore di taglie, ecco, se il “nuovo” Star Wars lo degnasse di operazioni alla “Rogue One” e “Solo: A Star Wars Story” forse, e dico forse, qualcuno potrebbe (a proprio rischio e pericolo) ritentare quest’esperimento… Allo stato attuale delle cose, però, credo non sia altro che una gran perdita di tempo.
Quanto a “Boba Fett (1996) L’ombra dell’Impero”, il mio albo è ancora a far bella mostra di sé sullo scaffale della libreria dopo più di vent’anni… 😉
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Dovresti farci il paio con il libro di Perry e il videogioco omonimo, così da fare un reparto transmediale della tua libreria 😛
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[…] invidiosa del fumetto Dark Horse L’ombra dell’Impero (in Italia per MagicPress) di John Wagner, cioè il vero creatore di Boba Fett, la Marvel ha voluto […]
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[…] l’evento “War of the Bounty Hunters” con cui la Marvel ricopia una vecchia iniziativa Dark Horse, ambientando fra il secondo e il terzo film classico una grande caccia a Boba Fett e alla sua preda […]
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