Quando Tex finì in galera (1972)

Quanto è brutto questo inizio 2020? Parecchio, ma per fortuna la Sergio Bonelli Editore lo scorso febbraio ha iniziato a regalarci una nuova avventura carceraria di Tex. Nella narrativa di genere le storie di prigione hanno da sempre un fascino irresistibile e forniscono materiale eccellente in mano a bravi autori: perché allora non partire per un viaggio alla scoperta di storie di prigione a fumetti di ogni tipo? Tanto a casa bisogna stare, almeno si viaggia coi fumetti…

Potrebbe essere la prima storia di Tex in prigione, ma di sicuro è la più vasta e corposa: la saga “Il grande intrigo” inizia con il numero 141 (luglio 1972) e si conclude alla fine del numero 145 (novembre 1972), per un totale di circa 500 pagine totali di storia. E la cosa incredibile è che non c’è un attimo di stanca, anzi – come vedremo – purtroppo un finale straordinariamente sbrigativo rovina il ritmo perfetto della vicenda.

Erio Nicolò

Gianluigi Bonelli scrive una di quelle grandi storie corpose che hanno reso Tex famoso in una scuderie di personaggi con avventure mediamente più brevi: per decenni la lunghezza delle storie è stata quasi la firma texiana. In questo caso il disegnatore a cui si è affidato è il mitico e compianto Erio Nicolò, maestro d’altri tempi. Il suo stile è immediatamente riconoscibile, sia dalla precisa caratterizzazione dei personaggi protagonisti contro una sorta di vaghezza dei comprimari – che spesso possono anche cambiare tratti somatici da vignetta a vignetta! – sia dalla totale e monolitica immobilità delle vignette.
Sin da ragazzo (circa 14enne) mi sono stupito come mi piacessero davvero tanto le storie disegnate da Nicolò, così prive di action, così asciutte fino all’osso, con uomini e cavalli che sembrano paralizzati, così lontane da altri disegnatori texiani che sprizzano energia da tutti i pori. Eppure Nicolò ti incanta e, grazie all’aver sempre disegnato storie dalla sceneggiatura d’acciaio, ti fa gustare vignetta per vignetta.

Uno dei grandi motori di storie texiane per un certo numero di decenni è stato quello delle Montagne dei Navajo, piene d’oro: si sa che quel metallo portentoso smuove i peggiori istinti umani, quindi a cadenza fissa qualcuno ha la bella pensata di andarselo a prendere senza fare i conti con il popolo protetto da Aquila della Notte, cioè Tex. Stavolta non si tratta di qualche facinoroso bensì di un ricco uomo di Flagstaff, ammanicato con politici potenti: è lui che concepisce “il grande intrigo” che prevede di incastrare Tex per omicidio e, una volta sbarazzato il ranger, mettere a capo dei Navajo un uomo connivente che apra la via dell’oro.
Detta così sembra facile…

Il penitenziario di Vicksburg

Incastrare Tex per omicidio è più facile del previsto, e qui arriva l’unico vero inciampo di sceneggiatura: perché quando i cattivi hanno Tex svenuto a terra si prendono la briga di organizzare una falsa accusa d’omicidio così da farlo poi morire per mano degli aguzzini… quando bastava un colpo di pistola e fine dei giochi? Va be’, si sa che nessun cattivo è mai riuscito a storcere un’unghia texiana.

Altra veduta del penitenziario di Vicksburg

Condannato a vent’anni di lavori forzati, Tex parte alla volta del terribile penitenziario di Vicksburg, gestito da un direttore ubriacone ed ignaro di tutto che quindi lascia campo libero al bieco Murdock, che – spesato dall’uomo di Flagstaff – organizza per il ranger un soggiorno all’inferno.

Benvenuto a Vicksburg

Purtroppo la vita da galera viene appena accennata, l’obiettivo della vicenda si sposta sugli altri personaggi alle prese con le varie implicazioni della condanna di Tex – l’amico Kit Carson deve organizzare il modo di farlo fuggire mentre suo figlio Kit Willer deve affrontare l’infame agente indiano che vuole cacciar via i Navajo dalla loro terra – ma tutto è così dosato e così ben scritto che la lettura volta con piacere.

Schermaglie fra galeotto e secondino

Lo stesso facciamo in tempo a vedere alcune tipiche “sevizie da prigione” che però Tex affronta senza scomporsi e senza neanche un capello fuori posto. Che eroe sarebbe, se no?

Nulla può scalfire la lingua tagliente di Tex

La storica attenzione Bonelli alla moralità del linguaggio usato spesso stona con il tono della vicenda, perciò in situazioni fortemente drammatiche e di grande rabbia Tex se ne esce con frasette da refettorio monastico. Per non parlare poi, una volta fuggito di galera, quando sfoga il suo furore giurando vendetta atroce ai suoi nemici, battendosi il petto:

«Mi ci hanno piantato l’inferno, qui dentro, e per spegnerne le fiamme dovranno versare fiumi di lacrime».

Ammazza che frase, quindi ora parte la super-vendetta che insanguina il West? Ma dài, in un fumetto Bonelli? Non scherziamo…

Parole grosse….

L’endemica bontà del personaggio farà sì che non una sola goccia di sangue sia versata, nessuno soffra, i cattivi che hanno incastrato Tex si redimono e diventano i suoi migliori alleati e il misterioso uomo di Flagstaff muore di raffreddore. In due o tre pagine si chiude con immotivata velocità una storia che da 500 procedeva a capo dritto senza mai una smagliatura. Perché il problema è sempre lì, Tex è un orsacchiotone abbraccia-tutti quindi le sue storie di vendetta sono di una mosceria assurda.

Per fortuna “Il grande intrigo” solo alla fine diventa una storia di vendetta, cadendo come un sacco di patate, mentre è principalmente una storia di furbizie, intrighi, tradimenti e piani astuti, il tutto con un grado di verbosità al di là delle stelle ma che non stona, visto che la sceneggiatura è ottima. Se poi magari si fossero inventati un finale più di carattere, sarebbe stata una saga perfetta, ma da Tex più di questo non si può ottenere.

L.

– Ultimi post su Tex Willer:

5 commenti

  1. Beh, comunque è un peccato che finisca un po’ così dopo tante pagine di tensione e costruzione perfetta.
    Ma erano anche altri tempi.
    Quanto al linguaggio, come sai io vengo dalla passione diabolika e anche lì non si è mai scesi nelle volgarità, anche quando magari in una sparatoria tra gang slabbrate ti aspetteresti qualcosa in più. Eppure funziona.
    Significa che sono riusciti a far essere quel linguaggio parte implicita della testata. Probabilmente sarà lo stesso con Tex per i lettori abituali…

    Moz-

    Piace a 1 persona

    • Sì, Bonelli padre si è sempre fatto un vanto di sfornare fumetti “sicuri” e “per famiglie”, quindi anche i criminali più biechi si esprimevano in modo innocuo. Però a parte qualche sorriso non è mai stato un problema, neanche quando leggevo queste storie negli anni Ottanta 😉
      L’unico difetto, come dicevo, è che dopo 500 pagine perfette, con una storia sapientemente equilibrata e appassionante, tutto finisce in poche pagine, quasi andassero di corsa. Purtroppo capitava spesso con le storie lunghe…

      Piace a 1 persona

  2. Da Tex non mi sarei aspettato comunque particolare durezza, nemmeno nei suoi anni migliori (e questa storia lunga così ben orchestrata, almeno fino al finale, dimostra che appunto lì ci troviamo) 😉 Ci sarebbe voluto ancora parecchio tempo per vedere un eroe Bonelli comportarsi differentemente, tipo Nathan Never che per vendetta personale spara in testa a un amorale, bastardo e assassino collega d’agenzia (Andy Havilland, uno dei più credibili figuri negativi mai creati dalla casa editrice fra metà ’90 e il decennio successivo, purtroppo già bell’e dimenticato da tutti appena dopo essere stato “riportato in vita” -né pentito né redento- da poteri esterni)…

    Piace a 1 persona

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.